THE SHOW YOU ALL KNOW – ALESSANDRA FRANCO
«Giorni manifesti della vita e dell’amore»[1]
Testo critico a cura di Marco Izzolino
Lo show di cui si tratta in questa mostra è uno spettacolo girovago che tutti quanti, almeno una volta nella vita, abbiamo incontrato e conosciuto. Alcune opere esposte, in particolare quelle pittoriche, sembrerebbero suggerire il titolo Circuslove.
Si tratta tuttavia di un nome che indica al visitatore soltanto alcuni riferimenti che hanno ispirato il progetto espositivo – come ad esempio il Coney Island Circus Sideshow – ma che non è in grado di esaurire le tante connessioni concettuali che si possono trarre da questa mostra, della quale non può quindi costituire il titolo. Circuslove è dunque una mostra nella mostra: uno spunto soltanto iniziale, una chiave di lettura, per entrare in questo complesso progetto di Alessandra Franco per l’Andrea Nuovo Home Gallery.
Ispirandosi ironicamente all’estetica del circo e dei vecchi luna park, le opere pittoriche dell’artista, con un lettering dai colori vivaci, annunciano la data, l’ora e il posto in cui lo spettacolo avrà luogo; e anche l’emozione che vi sarà possibile vivere. Si tratta tuttavia di annunci di eventi già accaduti. Come manifesti pubblicitari di spettacoli già trascorsi, e ritrovati dopo molto tempo, i lavori dell’artista hanno un estetica vintage e NeoPop, che anziché proiettarne il contenuto verso il passato, trasforma le emozioni che vi sono descritte in qualcosa di universale e comune alle esperienze di tutti.
Queste opere/manifesto dichiarano le vicissitudini emozionali di esperienze che chiunque prima o poi ha attraversato nel proprio percorso di vita: ognuno di noi si è infatti innamorato, ha gioito, è rimasto deluso, ha sofferto, ha lottato, si è arreso… Il frutto di queste esperienze è reinterpretato attraverso la metafora del gioco e dei mondo ambiguo e bizzarro del circo. Nei manifesti dell’artista la bizzarria si rivela nelle personalità di coloro che si celano dietro ogni evento, che è poi, nella realtà la memoria di un incontro, con personaggi che non si vedono ma le cui caratteristiche si possono intuire da quanto si legge.
La mostra appare composita e multidisciplinare, ospitando dipinti, video, opere digitali e installazioni, da osservare o con cui interagire, con approccio giocoso e divertito, ma senza dimenticare che, in fondo, si sta parlando di ognuno di noi, del nostro vissuto, di quanto ci è accaduto, ma anche di quanto ci attende in sorte. I grandi titoli, le frasi che li accompagnano, posti in estrema evidenza sulle opere, offrono una forma di comunicazione esplicita che si rivolge direttamente agli osservatori/spettatori, che intersecando i vari canali multisensoriali, sia attivi che passivi, si riscoprono come bambini-adulti.
Chiunque oltrepassi la soglia della galleria, liberandosi, attraverso un approccio ludico, di qualsiasi aspettativa percettiva, si trasforma potenzialmente in un artista, condividendone temporaneamente la condizione: quella di un individuo che, al pari del popolo nomade di acrobati, ballerini, equilibristi, giocolieri, maghi e clown, non è mai completamente integrato in una cultura, o sembra avervi uno status marginale ed eccentrico.
Attraverso l’immedesimazione il visitatore assume così su di sé, come in un gioco di specchi, la diversità, dubitando del fatto che la bizzarria – l’essere “freak” – possa non riguardare effettivamente qualcosa che vediamo nell’altro, quanto piuttosto ciò che non accettiamo di noi stessi. Il linguaggio proprio del circo, sebbene adotti elementi della cultura contestuale, ne trasforma, completamente o in parte, il significato, utilizzandoli in modo nuovo. La realtà che si nasconde dentro il tendone infatti si impone come un sistema di comunicazione e significazione autonomo, che agisce liberamente sul sistema culturale, collocandosi allo stesso tempo dentro e fuori di esso (Paul Bouissac[1]).
Lo spazio all’interno della mostra, come lo spazio all’interno del tendone, si trasforma e la temporalità dell’evento ne amplifica il messaggio: la dimensione da favola, l’incantesimo e l’illusione perenne convivono con la realtà; effimero e materialità, sublime e corporeo, “alto” e “basso” vi si confondono e coesistono in una strana armonia. Perché lo spazio trasformato diviene il luogo dell’immaginazione, nel quale anche il naturale scorrere del tempo si altera – dilatandosi, contraendosi o andando a ritroso – rendendo possibile un ritorno all’infanzia o la visione del futuro.
La dinamica ludica – richiamata dagli elementi in mostra che si ispirano ai luna park ed alle opere/gioco con cui il visitatore è invitato a interagire – è presente nella vita dell’uomo fin dall’infanzia. Johan Huizinga nel suo saggio Homo Ludens[2] ha analizzato quanto la civiltà umana sorga e si sviluppi in modo ludico. Tutte le principali attività umane, quali il linguaggio, il mito, il culto, la giustizia, ecc. sono intrecciate con il gioco, che va considerato come un fenomeno culturale e non un’attività biologica.
Tutto l’immaginario di Alessandra Franco in questa mostra si manifesta dunque come una grande metafora visiva del “gioco delle vita”, in cui ciascuno di noi, a volte in segreto, altre volte in modo manifesto, per affrontarne le vicissitudini, si abbandona o si affida, in qualche modo, a quei comportamenti che abbiamo sperimentato ed appreso – giocando e in modo semi-serio – negli anni della nostra infanzia.
Infine, non si può tralasciare, a mio avviso, il fatto che nella “home” gallery Andrea Nuovo, il progetto di Alessandra Franco si carichi, suo malgrado, di un ulteriore significato, per il fatto che la galleria è al contempo anche un’abitazione. Questo viaggio nella spazio trasformato dell’immaginazione diviene per i visitatori anche l’occasione per un viaggio onirico nel proprio inconscio, attraverso un confronto con l’archetipo junghiano della casa.
Tale archetipo, ben rappresentato dall’idea del focolare domestico, è presente in tutti popoli della terra, perché disegna un vissuto umano che accomuna tutti. La dimora è un luogo sacro per ogni individuo, perché in essa si realizzano gli affetti più importanti della vita. Si tratta di un elemento fondante dell’inconscio collettivo, che è costantemente operativo e mantiene in vita tutti i miti del passato, le immagini primordiali cariche di emotività e di tutti gli affanni e le inquietudini del genere umano.
In questa mostra l’archetipo della casa, trasformato, si popola di immagini e personaggi che vivono tra il “dentro” e il “fuori” dell’inconscio, della società, della morale comune, diventando una specie di specchio in cui la cultura si riflette, condensata e allo stesso tempo trascesa.
Marco Izzolino
(Storico dell’Arte)
[1] Da una definizione di Alessandra Franco per descrivere sinteticamente la serie di lavori in mostra.
[2] Paul Bouissac, Circo e Cultura, Sellerio, Palermo 1986
[3] Johan Huizinga, Homo Ludens, Einaudi, Torino 1946