Oniromachia di Marianna Sannino
SIGNIFICATO DEL TITOLO
Oniromachia è un neologismo. Si tratta di una parola composita, formata dall’unione del termine ὄνειρος «sogno» con -μαχία, derivato di μάχομαι «combattere»; letteralmente starebbe a significare «il combattimento dei sogni». L’anima si esprime attraverso un’attività spontanea che Jung definisce «fantasia». La dote di un artista risiede nella sua capacità di dare un “corpo” alla propria fantasia. In una esperienza artistica, come in un setting analitico, le immagini fantastiche dell’anima trovano il luogo nel quale esistere e, come nei riti misterici, si verifica la catarsi, ossia la liberazione delle immagini. Le immagini fantastiche, come quelle che appaiono in sogno, sono simbolo, non segno, in quanto non possono essere ridotte ad un solo significato. Come scrive Jung: «un simbolo non abbraccia e non spiega, ma accenna, al di là di sé stesso, a un significato ancora trascendente, inconcepibile, oscuramente intuito, che le parole del nostro linguaggio non potrebbero adeguatamente esprimere» (G. Jung, I problemi della psicoterapia moderna). L’artista, come l’oracolo, accennerà, anziché definire e spiegare, lasciando che le immagini dell’anima abbiano la possibilità di liberarsi, trasformarsi e dare vita ad altre immagini. Le figure dell’arte, della pittura, emergono dalle profondità psichiche, diventando tracce di rappresentazione che incontrano (o si scontrano con) quelle che abitano nella fantasia, nei sogni, dell’osservatore.
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Oniromachia – parole chiave e riferimenti
Testo scritto e/o elaborato da Marco Izzolino
AVVISO AI VISITATORI E ALLE VISITATRICI
Oniromachia è il frutto di oltre tre anni di ricerca, che hanno condotto Marianna Sannino a trasformare un medium espressivo tradizionale qual è la pittura in uno strumento in grado di consentire la fruizione dello spazio espositivo come un “sistema aperto” di esperienza visiva. Si tratta di una ricerca che è ancora in corso, ma che giunge, con questa mostra, ad un primo stadio di completezza nel confronto con il pubblico, che non è fruitore passivo, ma parte integrante e attiva di essa. Si è scelto così di non offrire una univoca interpretazione, attraverso un testo lineare e sequenziale, ma di fornire una serie di riferimenti con i quali visitatori e visitatrici possono farsi una propria lettura autonoma delle opere presenti e della generale esperienza espositiva.
SISTEMA APERTO
Un sistema può essere considerato “aperto” quando i confini che lo definiscono, in relazione all’ambiente in cui è inserito, non sono dei limiti invalicabili, ma permettono una penetrabilità tra ciò che è vi è dentro e ciò che è fuori.
IL FONDO ORO (ASSENTE)
«L’icona si dipinge sulla luce e da qui emerge tutta l’essenza della pittura iconica. La luce, come vuole la migliore tradizione dell’icona, si dipinge con l’oro, cioè si manifesta appunto come luce, pura luce» (Pavel Florenskij, Le porte regali).
PERMEABILITÁ
La tecnica che Marianna Sannino ha ideato rende permeabili i confini tra il soggetto pittorico e lo sfondo su cui questo si staglia, consentendo uno scambio continuo tra rappresentazione e vita reale.
METAPITTURA
L’artista ha creato uno spazio di rappresentazione che potremmo definire “metapittorico”, in quanto ha lo scopo di mettere in evidenza le ridondanze pragmatiche dell’interazione comunicativa che si svolge attraverso la pittura. Si tratta tuttavia di uno spazio vuoto, in cui la pittura è assente, e nel quale emerge la realtà concreta dello spazio espositivo.
DI LUCE E DI OMBRA
«Nella pittura iconica le ombre non hanno ragion d’essere: il pittore di icone non si occupa di faccende tenebrose e non dipinge ombre; procede dal tenebroso al luminoso, dall’oscurità alla luce» (Pavel Florenskij, Le porte regali).
PITTURA E SPAZIO CONCRETO
Le installazioni di Marianna Sannino hanno il pregio di aumentare le possibilità di scambio tra finzione pittorica e realtà esterna, consentendo alla vita reale di farsi contesto, di penetrare all’interno del tessuto pittorico, esporlo al caso, alla continua contemporaneità, rendendolo anche luogo dell’imprevedibile e di possibili apparizioni.
OGGETTI SEMI-OPACHI
Arthur Coleman Danto propose di definire le opere d’arte come oggetti semi-opachi: trasparenti e opachi allo stesso tempo, ovvero oggetti in cui si avverte una «interazione fra contenuto e modo di presentazione» (La Destituzione filosofica dell’arte). In una immagine, opaco può essere definito il contenuto vero e proprio dell’opera che l’autore intende proporre, trasparente invece può essere definito tutto ciò che contribuisce, nel modo di presentarla, alla sua corretta interpretazione.
CHE COSA È OMBRA E LUME, E QUAL È DI MAGGIOR POTENZA
«Ombra è privazione di luce, e sola opposizione de’ corpi densi opposti ai raggi luminosi; ombra è di natura delle tenebre, lume è di natura della luce; l’uno asconde e l’altro dimostra; sono sempre in compagnia congiunti ai corpi; e l’ombra è di maggior potenza che il lume, imperocchè quella proibisce e priva interamente i corpi della luce, e la luce non può mai cacciare in tutto l’ombra dai corpi, cioè corpi densi» (Leonardo, Trattato della pittura).
SUPERFICIE SPECCHIANTE (ASSENTE) 1
La caratteristica essenziali dei Quadri specchianti di Michelangelo Pistoletto è l’inclusione della dimensione temporale, che non è solo rappresentata, ma realmente attiva. Includendo lo/a spettatore/trice e il suo ambiente circostante si congiungono polarità opposte (staticità e dinamicità, superficie e profondità, assoluto e relativo) attivate dall’interazione tra immagine e realtà concreta (riflessa a specchio).
LA POSIZIONE DI CHI OSSERVA
L’osservatore/trice si trova nella curiosa condizione d’appartenere tanto allo spazio della vita reale che a quello della rappresentazione pittorica ed è chiamato/a ad uno sforzo, che è sempre soggettivo, di messa in relazione tra i due mondi attraverso di sé.
SUPERFICIE SPECCHIANTE (ASSENTE) 2
«Il non essere più un’illusoria finestra aperta sul mondo, come nella concezione del quadro affermatasi con la prospettiva rinascimentale e conclusasi con le avanguardie storiche del Novecento. A differenza di tale prospettiva, rivolta esclusivamente in avanti, il Quadro specchiante offre ora una duplice prospettiva rivolta sia di fronte che alle nostre spalle, costituendo un varco attraverso il quale l’ambiente in cui esso è esposto si prolunga nello spazio virtuale dell’opera, una porta che mette in comunicazione arte e vita» (Testo tratto dal sito dell’artista, www.pistoletto.it).
LE PORTE REGALI
È così che pian piano l’osservatore/trice può accorgersi di trovarsi sulla soglia tra una realtà visibile ed una invisibile, di cui i dipinti sono soltanto delle “porte” e i soggetti rappresentati dei custodi: chiamato/a, attraverso la pittura, a un viaggio nel proprio immaginario interiore, in cui possono inaspettatamente emergere – prendendo forma, mescolandosi o confliggendo – immagini ed emozioni dall’inconscio profondo.
IL SIMBOLO NON TACE, NON DICE, ACCENNA
«Tracce crepuscolari di rappresentazioni, in forma di immagini o sentimenti, che si staccano dallo sfondo oscuro e invisibile dell’inconscio per apparire come ombre incerte allo sguardo rivolto verso l’interno» (Gustav Jung, I problemi della psicoterapia moderna).
INTERIORIZZAZIONE
Attraverso la lettura delle opere e la loro inclusione nello spazio vissuto si può compiere, per osservatori/trici, come un “processo di interiorizzazione” (James Hillman), ovvero il passaggio dallo sguardo rivolto verso l’esterno a quello orientato verso l’interno, che conduce ad un movimento dalla superficie delle cose visibili a ciò che è meno visibile, dall’oggetto al soggetto.
INIZIO E RITORNO
Il processo ha inizio al passaggio, con l’ingresso fisico nella mostra, dal piano della realtà a quello simbolico, nel quale tutto, visitatori/trici compresi/e, diventa rappresentazione. Tale passaggio è marcato da elementi che rimandano alla natura (la vetrata della porta d’ingresso), e il percorso si conclude con un ritorno ad essa. La natura al principio si mostra in forme astratte, puramente mentali, al termine si manifesta nella sua vera essenza.
AL ZULAYCHA
Vi è tuttavia un’altro elemento di derivazione naturale che accompagna tutta la mostra (e il processo di interiorizzazione), a marcare confini, a legare passaggi, a connettere immagini e presenze, ma soprattutto a simboleggiare in modo astratto l’idea del viaggio, del percorso, e del tempo necessario per compierlo: la rappresentazione, realistica o presunta, di antiche riggiole napoletane. Le forme dipinte rimandano (ancora) alla natura (resa astratta e geometrica); il colore predominante, il blu cobalto degli azulejos, rimanda alla storia spagnola (e portoghese) che connette questo tipo di decorazioni alla propria origine, nel mondo arabo. Le riggiole sono elementi decorativi che hanno attraversato il tempo e lo spazio, che hanno abitato le case e accompagnato la vita. Nello spazio di Andrea Nuovo, che si trova nella parte più antica e remota della città, le riggiole riaffiorano come presenze dal passato (o dalla memoria) e sono il simbolo di tutte quelle cose che continuano ad esistere oltre la vita di chi le ha create.
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