Oculus – Helene Pavlopoulou
Differenza e ripetizione
«Le rêve est une seconde vie. Je n’ai pupercer sans frémircesportes d’ivoireou de corne qui nous séparentdu monde invisible.»
Nerval
«Il Sogno è una seconda vita. Non ho potuto varcare le porte d’avorio o di corno che ci separano dal mondo invisibile senza rabbrividire.»
Nerval
Helene Pavlopoulou è un’artista panoramica. Con un virtuosismo sorprendente combina nelle sue opere gli oggetti e i riferimenti più eterogenei. Davanti agli occhi dello spettatore appaiono piante, animali, strumenti musicali, frammenti di storia dell’arte e volti di personaggi famosi come Julian Assange o Voltaire. Con meticolosità e raffinatezza pittorica, l’artista amalgama questi motivi in un insieme pittorico coeso. Per raggiungere questo obiettivo, utilizza diverse tecniche e forme di rappresentazione. Un elemento centrale è la combinazione di immagine ‘reale’ e negativo fotografico. Attraverso questa combinazione sottrae all‘osservatore la certezza del suo punto di vista. Le posizioni di immagine positiva e negativa, di realtà rappresentata e realtà percettiva, di interno ed esterno, sono combinate in un unico lavoro. Si pone quindi la domanda: dove si trova l’immagine e dove si trova l‘osservatore? L’osservatore guarda l’immagine, ma allo stesso tempo si trova in uno sguardo che proviene, per così dire, dal retro dell’immagine – dal negativo.
Questa qualità di guardare e di essere guardati dall’immagine si manifesta anche nelle opere dell’artista attraverso la rappresentazione di occhi – di un gufo, ad esempio – che dalla tela sono diretti verso di noi. Questa reciproca compenetrazione di sguardi, di soggetto e oggetto, crea una trasparenza che rimanda a qualcosa di non visivo.
Anche i vari oggetti e concetti raffigurati dall’artista si combinano in una nuova logica formale che non ha più nulla a che fare con le causalità quotidiane e oggettive.
La stessa Pavlopoulou utilizza il termine palinsesto in relazione alle sue opere. Si riferisce alla costante sovrascrittura di testi, segni e contesti di significato. Tuttavia, questa sovrascrittura può anche essere intesa come un gesto che suggerisce un’interpretazione psicoanalitica: quella della rimozione. La storia – sia la nostra sia quella culturale – viene costantemente riscritta e quindi anche sovrascritta. Ma ciò che viene sovrascritto rimane, come storia nascosta, portatore di una nuova versione. Probabilmente non è una coincidenza che l’artista utilizzi anche il collage, che ricorda il surrealismo, come una delle sue tecniche di rappresentazione. Come mezzo adatto per stabilire un riferimento artistico al complesso del rimosso, dell’irrappresentabile. Questo inconscio, che Lacan descrive come la memoria di ciò che l’uomo dimentica, produce qualcosa di nuovo senza poter tornare indietro. In una conversazione con Helene Pavlopoulou lei cita la palingenesi, che nell’opera di Nietzsche diventò eterno ritorno, come un‘idea per i suoi lavori. Tuttavia, il ritorno non appare come un oggetto identico nel tempo. Se lo fosse, sarebbe soggetto alla durata e non al processo di scomparsa e ritorno. Le opere dell’artista mostrano proprio questa qualità. Inizialmente, venivano rappresentati ancora segni e oggetti concreti e discreti, come strumenti musicali, cavalli e corpi umani, uno accanto all’altro. Nelle sue ultime opere li combina con un sottile tono di colore blu. Questo mezzo – il colore – crea una leggerezza nell’immagine che ricorda la logica dei sogni. Un’altra allusione ai temi del surrealismo. Perché solo nei sogni possiamo volare.
Nelle opere di Helene Pavlopoulou ritornano i motivi e le storie del passato e del ritorno represso. I loro riferimenti si trovano nella storia dell’arte, nella mitologia, ma anche nella politica attuale. Tuttavia, l’artista non li mostra come reificazione, ma sviluppa una trama visiva apparentemente sensuale che dà un impulso ad esporci a quel che si è obliato e che non si può dimenticare.
Boris Manner
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Difference and Repetition
“Le rêve est une seconde vie. Je n’ai pu percer sans frémir ces portes d’ivoire ou de corne qui nous séparent du monde invisible.”
Nerval
Helene Pavlopoulouis a panoramicartist. She combines the most heterogeneous objects and references in her works with astonishing virtuosity. Plants, animals, musical instruments, fragments from art history, and the heads of extraordinary figures such as Julian Assange or Voltaire appear before the eyes of the viewer. The artist amalgamates these motifs into a cohesive whole with meticulous care and great finesse, using different techniques and forms of representation. A central element is the combination of a “real” image and its photographic negative. Through this combination, she deprives the viewer of the certainty of their point of view. The positions of the positive and negative of the image, that which is represented and that which is perceived, the inside and the outside are combined in a single piece. This raises the question – where is the image and where is the viewer? The viewer looks at the image, but at the same time, they find themselves within a view as if gazed at from the reverse of the image – the negative.
This quality of looking at and being looked at from the image also emerges in the artist’s works through the depiction of eyes – those of an owl, for example – that gaze out at us from the canvas. This mutual interpenetration of gazes, of subject and object, creates a transparency that points to something non-visual.
The different objects and concepts depicted by the artist are also combined in a new formal logic that no longer has anything to do with everyday, objective causalities.
Pavlopoulou herself uses the term palimpsest in connection with her work. This refers to the repeated overwriting of texts, characters, and contexts. However, this overwriting can also be understood as a gesture that suggests a psychoanalytic interpretation –namely, repression. History – whether personal or cultural – is constantly being rewritten and thus also overwritten. But that which is overwritten remains the bearer of a new version as a hidden history. It is probably no coincidence that one of the depiction techniques the artist also uses is collage, a method reminiscent of Surrealism. This serves as an appropriate means of establishing an artistic reference to the complex of that which is repressed, which cannot be depicted. This unconscious, which Lacan calls the memory of what is forgotten, produces something new, without itself being able to return. In a conversation with Helene Pavlopoulou, she mentions palingenesis, which in Nietzsche became the eternal return, as one of the ideas behind her works. However, that which returns does not appear as an object identical in time. Then it would be subject to permanence rather than to the process of disappearing and returning. The artist’s works exhibit this exact quality. Discrete, concrete signs and objects such as musical instruments, horses, and human bodies were initially depicted side by side. In her latest works, she connects these through a subtle shade of blue. This medium – colour – creates a weightlessness in the image that is reminiscent of dream logic. This is yet another allusion to the themes of Surrealism – because only in dreams can we fly.
In Helene Pavlopoulou’s works, the motifs and stories of the past and the repressed return. We can find their reference points in art history and mythology, but also in current politics. However, she does not show this as reification, but develops a sensual-seeming visual texture that elicits an impulse to expose ourselves to this forgotten thing that cannot be forgotten.
Boris Manner