Giorgio Galimberti

Attraverso un percorso di sperimentazione e di ricerca ben delineato, Giorgio Galimberti sviluppa uno sguardo contemplativo che si dispiega in diversi livelli di lettura. Questi concorrono alla costruzione del suo linguaggio espressivo, una stratificazione di significati e significanti – come l’accumulo di trasparenze di cui fa largo uso in alcune serie di immagini – prendendo come riferimento l’alfabeto dei segni dei grandi fotografi del passato e declinandolo in modo umile, intelligente e, forse proprio per questo, innovativo.

La poetica che si evince dalle immagini da lui create ha un sapore surrealista e allo stesso tempo romantico, inteso nel senso Ottocentesco del termine. Come nei dipinti di Caspar David Friedrich – dove l’essere umano sembra annullarsi di fronte la maestosa grandezza e forza della natura, risultando parte integrante, discreta, di un tutto molto più ampio, elevando lo spirito ad uno stato di silenzio contemplativo e imperscrutabile – troviamo questa riflessione anche nelle opere di Mario Giacomelli, di cui possiamo rintracciare una forte stima e influenza in G. Galimberti che assimila e fa proprio questo tema, dove però è il paesaggio urbano a ricoprire un ruolo fondamentale.

Le “tracce urbane” lasciate dall’uomo diventano pretesto e scenografia per paesaggi lunari, mondi da esplorare e deserti da attraversare, creando ambientazioni arricchite, oltre che dalla presenza costante della figura umana, da elementi altri, inserti misteriosi che si fondono con le architetture, in un continuo e ben ritmato susseguirsi di luce che fende il buio e viceversa, ottenendo comunque immagini molto bilanciate.

Attraverso un percorso di sperimentazione in cui sono presenti omaggi e riferimenti ad autori come il già citato Mario Giacomelli, Josef Sudek, Berengo Gardin, Fan Ho, Alexandr Rod

enko, e molti altri, è evidente da parte dell’autore il desiderio di arrivare ad una sempre più consapevole dimensione di progettualità, che troviamo, per esempio, in Tributo a Mitoraj.

Se in Tracce urbane e in Forme di spazio Galimberti mantiene un totale distacco con i soggetti fotografati, lontano da qualsiasi rapporto personale, diretto, considerandoli elementi parte integrante di una più ampia composizione dell’inquadratura, in Nero assoluto e in Istanti urbani questa distanza si riduce. In quest’ultima serie notiamo una riflessione sulla trasparenza, attraverso un processo di sovrapposizione e di accumulo di interventi materici da parte dell’autore, che riporta alla mente il Pittorialismo e le sperimentazioni anni Trenta.

Una delle peculiarità della ricerca di Giorgio Galimberti è l’indagine sul segno grafico che emoziona e suscita interrogativi, che spinge l’osservatore ad immaginare una storia partendo da ambientazioni lunari, desertiche, tuttavia sempre identificabili da elementi tali da permettere di orientarsi nello spazio, dove la presenza dell’uomo è il principio o la fine di un racconto da scrivere. Il costante passaggio dalle tenebre alla luce che caratterizza l’estetica del suo operare, ispirato dalla luce di artisti come Fan Ho e Josef Sudek, di cui ha chiaramente ben assimilato l’insegnamento, ci rivela qualcosa di molto profondo sull’autore che, in modo conscio o meno, desidera comunicare qualcosa del suo intimo, della sua visione poetica del mondo, della vita.

Nelle sperimentazioni a colori, la luce crea atmosfere molto delicate andando a bilanciare e smorzare i toni di una realtà in technicolor a cui ancora non ci si abitua nel passaggio dal Nero assoluto. Proprio come uscendo in piena luce si resta abbagliati e ci vuole qualche istante per abituare lo sguardo alla visione, così risultano le immagini a colori di Galimberti, una luce diffusa, familiare, attraverso cui l’autore ci comunica, forse, un archivio della memoria, una memoria sensoriale condivisibile e che, come quando un ricordo riaffiora, fa germogliare un sorriso sulle labbra di chi resta incantato a guardare queste immagini.

Serena Calò